«Non dobbiamo fare gli eroi ma nemmeno dimenticarci dei doveri verso la società. Ho accettato di lavorare con la Fao perché credo che la musica possa trasmettere valori, ma per colpa della burocrazia mi utilizzano male» Di Andrea Pedrinelli Domani a Milano e giovedì a Napoli la cantante israeliana Noa tornerà ad esibirsi in Italia. L'artista sarà nel capoluogo lombardo ospite di Etnival, festival dedicato al dialogo fra le culture: al Castello Sforzesco si proporrà in trio acustico con Gil Dor e Zohar Fresco, accompagnata dai Solis String Quartet di Napoli. Con questa formazione («con cui lavoro da un anno cercando di unire suoni classici, tradizioni mediterranee e jazz») Noa proporrà una rivisitazione del proprio repertorio che per l'estate diverrà dvd: l'ha registrato dal vivo in Israele poche settimane fa. Ad aprire la sua serata milanese la cantautrice Susanna Parigi, ospite speciale Carlo Fava che duetterà con lei: «Ho tradotto le sue canzoni in inglese ed ebraico, lui le mie in italiano: ci esibiremo piano e voce». A Napoli Noa prenderà invece parte alla presentazione ufficiale del nuovo album di Massimo Ranieri sulla tradizione partenopea, e come nel disco proporranno Dicitencello vuje. Ranieri lo canterà in napoletano, lei in ebraico, per un'idea del produttore Mauro Pagani «che mi ha colpito, dato che venivo da molti inattesi complimenti per la mia pronuncia del napoletano, ricevuti anche in Vaticano al Concerto di Natale». Il ritorno di Noa sui nostri palcoscenici - oltre che conferma di un rapporto strettissimo fra lei e l'Italia, che la vide debuttare giovanissima in Sicilia - è l'occasione però anche per affrontare temi extra-musicali. Perché l'artista è da sempre disponibile a mobilitarsi in campagne culturali o sociali. Tanto che si dispiace se (parole sue) «qualcuno mi usa poco»: fino a dirci, riguardo il suo ruolo di ambasciatrice Fao nel mondo, che «potrei fare molto di più per loro». Partiamo da questo suo sfogo: a cosa si riferisce quando dice che la Fao «mi usa poco»? «Per la Fai partecipo a festival, faccio interviste ed apparizioni sui media: nel caso dello tsunami per esempio mi sono esposta tantissimo. Però sento l'esigenza di dare di più. Sin troppi artisti non avvertono responsabilità sociali e usano la forza comunicativa del pop per fare soldi, anziché dire cose importanti. Io non voglio dire che dobbiamo fare gli eroi o rinunciare a Vivere del nostro lavoro: ma una presa di coscienza dei nostri doveri occorre». E che cosa le impedisce di spendersi di più? «L'avere a che fare con un'organizzazione valida, dall'agenda immensa, impegnata su molti fronti. E che quindi, paradossalmente, a volte dimentica chi sarebbe pronto ad impegnarsi di più per aiutarla». A proposito di impegno. Lei incontrò Giovanni Paolo II per la prima volta nel 1992, e fu criticata in patria: all'epoca c'erano relazioni complesse tra Vaticano ed Israele. Oggi come ricorda il Papa? «Con immenso rispetto. Ha lavorato duramente per abbattere i muri fra le religioni e le culture, ha parlato contro la guerra in nome di Dio. Però già nel '92 in realtà erano pochi a criticarmi per essermi avvicinata a lui, anche se facevano rumore. Oggi invece sono spesso elogiata per aver cercato un contatto con la Chiesa di Roma. In questi anni, grazie anche al Papa, si è insomma fatto molto per far capire alle persone quanto serva confrontarsi. E' uno dei motivi per cui non sono mai pessimista». Malgrado tutto quello che ci circonda? «Quello che ci circonda non è solo quello che vediamo sui media. Esiste gente che lavora, ci sono madri che educano i figli. Vivere l'esperienza cinematografica de La vita è bella di Benigni (Piovani le commissionò il brano Beatiful that way, ndr) mi ha confermato che, anche in una situazione estrema ed orribile quale fu l'Olocausto, un sorriso poteva salvare qualcuno. Nell'uomo ci sono potenzialità di cui si dovrebbe parlare di più. Sarebbe d'esempio per i bambini, che sono la cosa più importante». | |||
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